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Eroe delle inquietudini della civiltà di massa, Genet sembra riallacciarsi, nei suoi versi, alla poesia epica e tragica del passato. Ma definirlo neobarocco o neoromantico sarebbe superfluo e improprio. Incline a un'atemporalità antinovecentesca, il suo classicismo è tuttavia ancorato nel presente, radicato nella modernità. Sempre seguendo una propria linea, egli fa sua la critica metafisica e sociale propria del surrealismo; ne possiede il gusto della fantasia, della libertà, dell'anarchismo, della rivolta assoluta; la tendenza al «meraviglioso» e all'elemento onirico; la fede nell'alchimia del verbo e nel «dérèglement» dei sensi. Una sotterranea volontà pervertitrice è oggettivata da innesti gergali più o meno numerosi, tratti dalla lingua della più cruda realtà, in particolare l'argot della mala. Inserti che, per altro (così come gli stessi «eccessi» osceni), hanno la funzione di rendere consistente la continuità del canto segreto e di dimostrare la paradossale possibilità, in un'epoca così tragicamente banale, della pienezza della voce e della poesia d'amore.